Emotional marketing: due parole che racchiudono uno degli aspetti più profondi della nostra professione.

È, infatti, un punto di vista privilegiato sulle prospettive di comunicazione e marketing

Nella sua definizione ci sono le due parole che gli danno senso: le emozioni e il marketing.
Ovvero tenere in considerazione la sfera emotiva quando ci si muove per creare un prodotto, di marketing in questo caso, che servirà per mettere in contatto un brand e una persona o due persone tra loro.

Insomma: qualunque sia l’obiettivo finale per cui deciderai di applicare il marketing emozionale alle tue strategie, l’aspetto fondamentale resta la presa di consapevolezza che c’è dietro le parole, foto, icone, colori, che scegliamo.
Quali sono le emozioni che vorremmo le nostre persone provassero?

Badate bene: non lavoriamo affinché loro facciano qualcosa per noi, ma affinché loro sappiano che noi la pensiamo come loro, affinché loro si sentano parte del nostro mondo e noi del loro. 

Solo così, in questo modo caldo e accogliente di fare comunicazione abbatteremo le barriere che si alzano tra i brand e le persone, abbatteremo la lotta per lo sconto, l’ansia della competizione. Lasceremo indietro tutto questo per abbracciare una realtà più consapevole e stabile. 

Dale Carnegie scrive: «Quando abbiamo a che fare con le persone dovremmo ricordarci che non abbiamo a che fare con creature logiche, bensì con creature emotive.»

Questo aspetto mette in luce l’importanza di non escludere l’emotional marketing dal nostro quotidiano, come professionisti certo, ma anche come utenti, clienti, persone. 

Prendere in considerazione l’aspetto emotivo che sottostà a ogni scelta che le persone fanno e, quindi, a ogni contenuto e relazione che gli proponiamo, non significa manipolare l’altrui mente, ma significa prendere in considerazione i bisogni e le empatie che ci muovono come persone e rendere, così, il marketing, un luogo più umano

Ma vediamo insieme quali sono le prime 3 indicazioni da tenere sempre a mente se vogliamo cominciare ad applicare le emotional marketing alle nostre strategie. 

1. Cosa faccio e come lo faccio

La vera domanda non è chi sei o cosa fai. La vera domanda è: come fai, quello che fai.
Sono poche, meno di quanto credi, le aziende capaci di rispondere davvero a questa domanda.
Quando parliamo di competitive advantage qualcuno ti risponderà dicendo che ciò che lo diversifica è la qualità di quello che fa, o delle materie prime, o un determinato modello di prodotto o servizio.
Beh, non è così. Non lo è quasi mai.
Siamo diversi dagli altri non per quello che facciamo, ma per l’anima che ci mettiamo.
E se ne siamo consapevoli gli altri, dove con altri intendiamo tutte le persone che, con ruoli diversi avranno a che fare con noi, lo percepiranno.
Sono le persone, le emozioni, la parte calda (concedetemi la parola) delle aziende a fare davvero la differenza.
Il nostro stile.
Il nostro modo.
La nostra identità.

Quindi la prima indicazione è: come fai quello che fai? Impara a rispondere a questa domanda e aiuta le tue aziende a rispondere con consapevolezza a questa domanda che pare semplice, ma non lo è per nulla.

 

2. Scegli bene i tuoi mezzi

Abbiamo a disposizione le parole, i colori, milioni di immagini e video e podcast e suoni.
Quali sono quelli che fanno davvero al caso nostro? Quelli che, meglio di altri, raccontano la nostra individualità e creano quel gancio emotivo che porta avanti nella lettura e nel rapporto le persone dall’altra parte dello schermo?
In narrativa li chiameremmo climax o cliffhanger, nel marketing ci ricordiamo che le parole che scegliamo e la qualità dei prodotti visual che produciamo fanno differenza sulla qualità del rapporto che vogliamo instaurare con l’altro.

Ma vediamo degli esempi. 

Due pizze

Due panorami della stessa città

(paesionline.it)

(Instagram: cingolani_andrea)

Potremmo andare avanti così a lungo.
Sono certa che guardando queste immagini a confronto vi sarà ancor più chiaro che non è il prodotto o servizio (in questo caso la pizza o il panorama) a fare la differenza ma come il taglio fotografico, i colori, l’importazione della macchina, ve lo stanno raccontando.
E se siamo consapevoli di questo allora capiremo bene che produrre un contenuto capace di convertire, emotivamente, è uno sforzo importante, delicato e straordinariamente affascinante oltre che utile. 

 

3. Sii coordinato

Non scordarti mai chi hai scelto di essere. 

Una volta che avrai risposto alla tua domanda” come fai quello che fai” e, avrai, quindi definito bene la tua identità nel rumore della rete allora, solo a quel momento, potrai ricordarti di essere coordinato nei vari canali e mezzi che la comunicazione ti mette a disposizione.
Questo, come ci insegnano Emanuela Ciuffoli ed Erika D’Amico non significa essere rigidi nel proprio vestito ma, anzi, imparare a cambiare d’abito ricordando sempre, però, chi siamo.
Ogni piattaforma ha un suo stile che dobbiamo riconoscere e rispettare.
Se su Linkedin andremo con una bella giacca o un bel vestito per TikTok andranno benissimo dei jeans, ma siamo sempre noi, sono solo i vestiti che cambiano. 

 

Un esempio concreto di marketing emozionale

Vi racconto un caso che stiamo seguendo con il team Vanilla.
Ci hanno affidato il rebranding strategico a livello digitale di un prodotto storico nel mercato italiano degli antitraspiranti che è Perspirex.
Questo prodotto tratta di cattivi odori e sudorazione eccessiva, viene distribuito nel canale farmacia e parafarmacia e, da sempre, è stato raccontato, sulle piattaforme digitali utilizzando un tono attento e poco personale.
Il motivo di questa scelta è molto semplice e anche ragionevole: Perpsirex tratta di sudore, cattivi odore, imbarazzo, non sono aspetti facili da raccontare, sono fatti coperti dal pudore e un pizzico di vergogna.

E così, quando il cliente ci ha proposto questa gestione, abbiamo fatto uno studio e ci siamo resi conto che una strada per poter raccontare questo prodotto a testa alta e con, decisamente più, personalità, andando a intercettare la sfera emotiva di chi suda (tanto o poco che sia) c’era: l’ironia. 

Abbiamo sviluppato una campagna digitale a quattro mani con diversi influencer comici che hanno sviluppato reel ironici, allegri e mai indelicati e, allo stesso tempo, abbiamo cominciato a sviluppare post ironici fatti di grafica e brevi copy che fossero in linea con lo stile indicato anche per la campagna di influencer marketing. 

Ecco alcuni esempi: 

Abbiamo scelto di abbandonare le foto reali, soprattutto quelle di stock, che non creavano alcun tipo empatia nelle persone, ma, anzi, davano quel senso di “finzione” che rischiava di ripercuotersi anche nella percezione del prodotto: “funzionerà sul serio?”

E con lo stesso principio di leggerezza, senza mai perdere autorevolezza, gestiamo anche la customer care che, per un prodotto così, è davvero delicata e importante. 

Il risultato? Centinaia di direct che ci chiedono informazioni, le percentuali del sellin in farmacia è aumentata sensibilmente, così come quella del sell out. E in più? Fiumi di commenti di persone che sudano e che per questo non possono mettere una maglia colorata, stringere una mano senza sentirsi in difficoltà, che si sono ritrovati in quel velo di ironia che ha permesso loro di raccontarsi senza più vergogna. 

Non è bellissimo tutto questo al di là dei numeri?

 

Conclusioni

L’emotional marketing ci permette di essere rilevanti, ci permette di scegliere il bello e, ancora di più, ci richiede di scegliere chi essere per poter, poi, essere scelti da altri che ci sono simili. In questo gioco di identità ed empatia si creeranno rapporti forti, stabili e pieni di reciproca fiducia e questo, per un brand, significa saper fare un salto di qualità importantissimo.

Imparare a riconoscersi, imparare a sapere chi siamo per poterci raccontare nel migliore dei modi.

 

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