Dalla fine degli anni ‘90, periodo nel quale si cominciò a parlare di ottimizzazione dei siti web per i motori di ricerca, ai giorni nostri, la SEO è stata al centro di una continua evoluzione, totalmente ancora in atto. Le tecniche e le strategie che stanno dietro a questa materia hanno subito delle modifiche dettate dal cambiamento del Web e delle abitudini di ricerca degli utenti.

Di pari passo con questo processo evolutivo, sempre più persone che possiedono un’attività con un sito internet collegato si sono rese conto di come la SEO possa ricoprire un ruolo cruciale all’interno di una strategia di web marketing. In alcuni casi, la popolarità proveniente dalla prima posizione nei risultati di ricerca, è in grado di portare vantaggi rilevanti per un’azienda. D’altronde, nel 2021 non è sufficiente essere presenti nel Web, ma bisogna acquisire il più alto livello di visibilità, mirando a diventare il brand di riferimento nel proprio settore di mercato.

Siete pronti per immergervi nel mondo della SEO e comprenderne tutte le dinamiche? Allora partiamo.

 

Cos’è la SEO: significato e puntualizzazioni

Il termine SEO rappresenta l’acronimo di Search Engine Optimization, dall’inglese ottimizzazione per i motori di ricerca. Tale materia racchiude l’insieme di tutte quelle tecniche e pratiche che hanno l’obiettivo di migliorare il posizionamento di un sito web, nella pagina dei risultati di un motore di ricerca.

Alt però! Questa definizione ha bisogno di alcune precisazioni se si vuole cogliere a pieno il senso di una campagna SEO. È strategicamente corretto decidere come ottimizzare il proprio dominio per i motori di ricerca. Ma e’ ancora più corretto pensare a come offrire il migliore sito per rispondere in maniera adeguata ai bisogni degli utenti.

Il vero fulcro dell’attività SEO sono le persone e le riflessioni su come soddisfare i loro bisogni attraverso il proprio sito web. Focalizzarsi sulle persone aumenterà la notorietà e migliorerà la percezione del vostro brand. C’è anche un altro motivo per cui è opportuno concentrarsi sull’offrire le giuste risposte alle necessità degli utenti: sono le persone ad acquistare prodotti o ad usufruire dei servizi, non di certo Google o qualunque altro motore di ricerca.

Si dice spesso che l’obiettivo reale di una strategia SEO sia quello di raggiungere la prima posizione nelle varie SERP (acronimo di Search Engine Results Pages, ossia le pagine dei risultati di Big G o di un altro motore di ricerca). Questo è corretto solo in parte, per almeno due motivi. In primo luogo, come abbiamo sottolineato in precedenza, un’attività SEO ruota intorno al proporre un sito web gradevole da consultare e utile rispetto a ciò che stanno cercando gli utenti. In secondo luogo, ma non per importanza, il mero primo posto nei risultati di ricerca non sempre è sinonimo di vantaggio competitivo e di profitto. Infatti, apparire in cima alla lista dei risultati per parole chiave poco cercate dalle persone o che, soprattutto, non vengono digitate dal proprio target di riferimento, porterà dei benefici minimi alla vostra attività.

Dunque, il fine ultimo della SEO non è apparire semplicemente prima degli altri risultati in SERP, bensì portare traffico di qualità al proprio sito web e far fare delle azioni coerenti con lo scopo per cui sono state costruite le pagine di destinazione visitate dagli utenti. Potremmo affermare che la prima posizione in SERP è solo un mezzo attraverso il quale concretizzare questo obiettivo.

 

Il SEM, padre della SEO e della SEA

La disciplina che prende il nome di SEM (acronimo di Search Engine Marketing, tradotto dall’inglese con marketing sui motori di ricerca o, più propriamente, in marketing con i motori di ricerca) si occupa di far confluire traffico targettizzato verso una risorsa ospitata nel proprio dominio.

Per realizzare questo intento sono due le strade che si possono percorrere: la SEO oppure la SEA. Nella SEO non è necessario un esborso di soldi per comparire nelle prime posizioni del risultati “organici” o “naturali”, definiti anche risultati “non a pagamento”. Difatti, la SEO viene anche detta posizionamento naturale od organico.

Non vi è un budget prestabilito da impiegare per avere la certezza di essere primi nei motori di ricerca, come invece accade nella SEA (acronimo di Search Engine Advertising, la cui traduzione può essere pubblicità sui motori di ricerca).

Coloro che lavorano per fare pubblicità al proprio brand in Google o in un motore alternativo, comprano degli spazi pubblicitari all’interno delle SERP per pubblicare gli annunci. In Google ADS, la piattaforma che consente di creare annunci pubblicitari nel motore di ricerca statunitense, si può eseguire tale operazione grazie alla modalità di pagamento pay per click (PPC), il cui meccanismo è simile a un’asta in cui l’inserzionista paga una determinata somma in corrispondenza del click dell’utente sulla sua pubblicità. Dato che l’acquisto di riquadri pubblicitari è una fonte di guadagno per i motori di ricerca, quest’ultimi garantiscono che gli annunci vengano mostrati in zone maggiormente visibili, come nella zona antecedente o successiva ai risultati organici. Le inserzioni create in Google ADS sono identificate dall’etichetta “Annuncio”.

Gli esperti in materia stanno sviluppando l’abitudine di non effettuare più la distinzione tra SEO e SEA. Piuttosto, si tende a differenziare le attività di ottimizzazione per i motori di ricerca dalla SEM, che, dunque, ingloba la SEA. Sappiate, perciò, che quando sentirete parlare dell’acronimo SEM o ne leggerete sul nostro sito, si farà riferimento alle inserzioni pubblicitarie sui motori di ricerca.

 

Come funziona Google

In questo articolo prendiamo in esame le tecniche SEO adottate per il colosso con sede a Mountain View. Ancora oggi, la maggior parte degli sforzi mirati ottenere un buon posizionamento vengono dedicati a Google, il motore di ricerca più utilizzato al mondo.

Ogni giorno, il crawler (o spider) Googlebot, un software preposto a scansionare e immagazzinare una copia del contenuto presento in un documento web, si aggira tra i vari siti alla ricerca delle migliori risorse web. Questo lavoro è giustificato dal fatto che la mission di Google è offrire risultati eccellenti in corrispondenza delle query digitate dagli utenti. Ciò non è sempre scontato: solo 3 anni fa Big G affermava di non essere capace di offrire una risposta appropriata a circa il 15% delle query mondiali.

Possiamo, perciò, immaginare il bot di Google mentre scansiona le diverse risorse web, alla ricerca di contenuti utili per gli utenti. Questa operazione viene chiamata scansione, oppure crawling, ed è la prima azione del processo con cui il motore attribuisce a un sito una posizione nella pagina dei risultati. Durante la scansione Googlebot atterra nel dominio e legge tutto ciò che può o che è autorizzato a consultare. Lo spider si muove da una pagina all’altra grazie all’utilizzo dei link, considerati dei veri e propri mezzi di trasporto per far sì che il crawler scopra tutte le pagine che compongono il sito web.

Dopo aver compreso di cosa trattano i vari documenti e, più in generale, aver colto l’argomento e l’intento complessivo del sito web, si giunge alla seconda fase di questo processo: l’indicizzazione. Tutte le risorse web e i materiali precedentemente scansionati vengono sistemati negli indici Google, ovvero un enorme database con altrettante infinite liste di siti web analizzati dal crawler.

A questo punto i siti web sono visibili nelle SERP di Google, ma non è stata ancora assegnata loro una posizione nelle differenti pagine dei risultati. Ecco che l’ultimo step, cioè il posizionamento o ranking, entra in gioco. In corrispondenza di una query digitata dall’utente, il motore di ricerca restituisce una SERP dove a ciascun risultato viene attribuita una specifica posizione. A un posizionamento migliore corrisponde un avvicinamento verso i primi risultati mostrati dal motore di ricerca. Nello stabilire il posizionamento di una risorsa web Google passa in rassegna circa 200 criteri, definiti fattori di ranking. Ecco una tabella del sito Search Engine Land che cerca di riassumerli.

Altro dettaglio da non trascurare è la relazione tra indicizzazione e posizionamento: se un sito web non è stato indicizzato, di conseguenza non verrà neanche posizionato. Invece, all’inclusione del sito web negli indici di Google, non corrisponde necessariamente un buon posizionamento.

Come abbiamo visto, tra indicizzazione e posizionamento esiste una differenza sostanziale e, troppo spesso, i due termini vengono utilizzati come sinonimi. Lavorare sull’indicizzazione è ben più semplice di ottenere un eccellente posizionamento, specie in segmenti di mercato ad alta competitività.

Arrivati a questo punto vi starete chiedendo: “Ok, ma come riesco a guadagnare un buon posizionamento e superare i miei competitor?”. La risposta è nelle prossime righe.

 

Si parte dalla strategia: la ricerca delle parole chiave

Come in ogni progetto che abbia intenzione di raggiungere i risultati prefissati, il punto di partenza è sempre costituito dalle scelte strategiche. Nella SEO una delle decisioni più importanti riguarda le parole chiave sulle quali sviluppare la campagna. Dovrete pensare alle esigenze del vostro target di riferimento e comprendere come esso cerca i prodotti oppure i servizi che offrite. Una ricerca sulla ricerca potremmo dire.

Analizzare anche le keyword per cui si posizionano i vostri concorrenti vi aiuterà a calibrare la strategia sulla base del pubblico che vorrete intercettare. Un errore che fanno in molti è quello di considerare come propri competitor solo le aziende concorrenti nel mercato in cui si opera. Ma non è sempre così. Facciamo un esempio per chiarire quanto scritto: immaginiamo di essere i proprietari di un progetto che abbia intenzione di posizionarsi per la chiave [escursioni in Abruzzo]. Osservando la rispettiva SERP si può osservare che la concorrenza è composta da altre attività che organizzano delle camminate nella regione, ma anche da blog che consigliano passeggiate nelle montagne dell’Abruzzo. Pertanto, se volessimo raggiungere le prime posizioni per tale keyword, dovremo competere, oltre ad attività di natura commerciale come la nostra, anche con siti di carattere esplicitamente informativo.

Essere presenti nelle pagine dei risultati per le keyword di primario interesse connesse alla propria attività rappresenta l’obiettivo di una ricerca delle parole chiave in ambito SEO. Scegliere le parole chiave centrali nella campagna SEO non è affatto semplice e richiede un’accurata analisi di determinati fattori. I principali aspetti a cui è necessario prestare attenzione nel trovare le keyword sono:

 

  • pertinenza, ovvero quanto la keyword selezionata è vicina, in termini di significato, all’argomento cardine del sito web.
  • rilevanza, cioè la capacità della parola chiave di attrarre il target di riferimento.
  • concorrenza, ossia il grado di competitività di una certa keyword che si lega al numero di siti web che la selezionano nella propria ottimizzazione SEO e alla loro autorevolezza agli occhi di Google e degli utenti.
  • volumi di ricerca, vale a dire il numero di volte (solitamente su base mensile) in cui una parola chiave è stata inserita nella barra di Google per consultare la relativa pagina dei risultati.

 

Cosa sono le parole chiave a coda lunga e perché utilizzarle

Ragionare sulla pertinenza e sulla rilevanza può fare tutta la differenza del mondo per un progetto online, perché optare per keyword non in linea con il tema del sito o di poco interesse per il proprio pubblico può essere davvero dannoso per il successo di un’attività nel Web. Specialmente nei primi mesi di vita del vostro dominio web, però, la concorrenza e i volumi di ricerca sono due indicatori da tenere particolarmente in considerazione. Se avete appena creato il vostro il sito, puntare sulle parole chiave a coda lunga  (in inglese long tail keywords) potrebbe essere l’ideale per il vostro piano SEO. Il termine riprende la teoria sviluppata dal giornalista Chris Anderson nel 2004 per cui la vendita di prodotti o servizi di nicchia è capace di portare maggiori guadagni rispetto all’offerta di prodotti o servizi popolari.

Nell’ottimizzazione per i motori di ricerca tale idea si configura nella volontà di posizionarsi per parole chiave caratterizzate dal basso volume di ricerca, oltre che dalla ridotta concorrenza e dalla maggiore tendenza degli utenti a convertire. Mentre per chiavi come [orologi], che hanno sì un numero medio di ricerche elevato, ma anche una concorrenza agguerrita, è più difficile per posizionarsi, per le long tail keywords le prime posizioni in SERP sono raggiungibili con maggiore facilità. Altro vantaggio delle parole chiave long tail è la quasi totale esplicitazione dell’intento di ricerca, ovvero di ciò che vogliono gli utenti fare/leggere/vedere con quella query. Con la query orologi l’utente vuole consultare dei siti che vendono orologi oppure conoscere la loro storia? Altro discorso è la digitazione di una ricerca come acquistare orologi da polso neri per uomini, in questo caso l’intento è decisamente più chiaro.

 

Reperire dati sulle keyword: alcuni tool utili

Quando iniziate a cercare le parole chiave per rendere il vostro sito web SEO-friendly potete fare affidamento su dei tool che forniscono informazioni riferite alle keyword che avete adocchiato. Quello più famoso è lo Strumento di Pianificazione delle Parole Chiave o Keyword Planner offerto direttamente da Google all’interno del circuito Google Ads. Lo strumento mostra quante ricerche vengono effettuate al mese per una parola chiave e informazioni sui dati storici delle keyword. Oltre a questi dettagli, il Keyword Planner consiglia anche altre parole chiave che magari ci erano sfuggite durante la prima selezione.

Delle valide alternative al tool di Google per la ricerca keyword e per altre attività collegate alla SEO sono SEMrush, SeoZoom e AnswerThePublic.

 

SEO On-Site

Agire nella SEO On-Site (alcuni si riferiscono ad essa con l’espressione SEO On-Page), dunque sugli elementi interni al sito web, è un’azione decisiva per coloro che vogliono dare una spinta al proprio posizionamento nelle SERP.

Quali sono gli elementi che una pagina web presenta agli utenti e ai motori di ricerca? Vediamoli nel dettaglio.

 

Tag title

L’elemento di maggiore importanza presente nel codice sorgente HTML di una pagina, nonchè fattore di ranking, è senza dubbio il tag title o titolo SEO. Per le persone esso è visibile nella SERP di Google sotto forma di link cliccabile per accedere al documento web, oltre che nella finestra della pagina aperta nel browser. Ha la funzione di comunicare a utenti e motore di ricerca qual è il contenuto della pagina che andranno a visitare.

Affinché questa informazione sia più chiara possibile e per evitare che il motore di ricerca “tagli” o “sostituisca” il tag title, quest’ultimo non deve superare i 60 caratteri o, comunque, i 600 pixel (sono i pixel, infatti, l’unità con cui Google stabilisce la lunghezza massima del tag title). Un titolo SEO dovrebbe inoltre contenere la parola chiave principale per il quale è stata ottimizzata la pagina web ed essere unico, ossia non uguale ad altri page title presenti nel sito.

 

Meta description

La meta description si trova poco sotto il tag title nello snippet di Google, ossia nelle anteprime dei vari risultati che appaiono in SERP. La lunghezza massima, se non si vuole che il motore di ricerca la tagli o la estrapoli del testo, è pari a 160 caratteri o 923 pixel. La descrizione SEO non rientra tra i parametri con cui il motore di ricerca determina il posizionamento, ma ha un forte effetto sul CTR (Click Through Rate), cioè il rapporto tra visualizzazioni dello snippet e click effettivi, che, al contrario, è un fattore di ranking.

Ragionando anche da un punto di vista visivo, la query digitata dall’utente viene evidenziata in grassetto da Google all’interno delle descrizioni delle differenti pagine e ciò può portare le persone a cliccare su uno snippet in cui sia presente l’esatta parola chiave che ha cercato piuttosto che su uno in cui è mancante. Questo meta tag può essere pensato come un annuncio pubblicitario gratuito in cui potrete, inserendo sempre la keyword primaria per la specifica pagina, fornire una breve anticipazione dell’argomento trattato. Qui la bravura di un SEO Copywriter sta nello scrivere una meta description informativa e, allo stesso tempo, accattivante per invogliare l’utente ad aprire la pagina.

 

 

Intestazioni Hx

Visibili solo all’interno del contenuto web, i marcatori Hx (H1, H2, H3 etc. fino all’H6 che è l’ultimo heading utilizzabile) aiutano gli spider e gli utenti a orientarsi nel testo. L’H1 è il titolo della pagina ed è presente unicamente all’interno di essa (all’opposto del tag title che è consultabile solo nella SERP o nella finestrella in alto nel browser). Chi redige il testo può decidere di differenziarli per varie ragioni, come la lunghezza o la propensione a mettere in evidenza una parola in uno dei due titoli. In linea teorica, è consigliabile che anche l’H1 riporti la parola chiave principale.

I sottotitoli servono a creare una gerarchia tra i vari argomenti trattati nel testo e a far comprendere tale organizzazione a utenti e motori di ricerca.

 

URL

Altro elemento da considerare nell’ottimizzazione On-Site è la URL della pagina web. Anche l’indirizzo del documento compare nello snippet di Google e deve essere il più possibile SEO-oriented. Ciò si traduce nella scrittura di URL parlanti e descrittive, capaci di anticipare il contenuto di una pagina in massimo 3-4 parole. I caratteri non decifrabili dal motore di ricerca come “&” e “%” sono da evitare poiché non riescono a informare utenti e crawler sull’argomento della pagina.

Da non sottovalutare anche il fatto che una URL di breve lunghezza è facilmente condivisibile dalle persone, con potenziali benefici per la popolarità dei vostri contenuti. L’inserimento della keyword principale nella URL aiuterà il bot di Google nella tematizzazione del contenuto e favorirà il ranking.

 

Ottimizzazione SEO delle immagini

Qualora il vostro sito web ospitasse delle immagini, queste vanno ottimizzate in ottica SEO. Ciò significa scegliere un nome del file idoneo a esprimere, in massimo due parole, il contenuto della foto e a descrivere cosa è rappresentato nell’immagine avvalendosi dell’attributo alt tag. Da un lato, tale componente permette di comunicare ai motori di ricerca gli oggetti, le persone, gli animali ecc. raffigurati nelle foto, dall’altro l’alt tag è di massima utilità per le persone non vedenti, le quali, grazie a particolari software, possono ascoltare cosa è scritto nell’attributo, intuendo così il contenuto dell’immagine.

Dal momento che l’alt tag è un fattore di ranking, riportare la parola chiave primaria per cui è stata ottimizzata la pagina in un’immagine aiuterà il posizionamento. Tenendo in considerazione le procedure SEO e la navigabilità di un sito, il peso delle immagini dovrebbe essere ridotto al fine di abbassare i tempi di caricamento delle pagine e offrire così un’esperienza di navigazione gradevole.

Tralasciando per un attimo il discorso riferito all’ottimizzazione, le immagini in un articolo hanno varie funzioni: possono fornire la rappresentazione grafica di un prodotto, spiegare più accuratamente un concetto, ad esempio attraverso un’infografica, o intervallare il testo che altrimenti risulterebbe troppo “pesante” da leggere. Presentare delle immagini originali e non prese da altri siti web sarà un indizio per gli utenti della vostra volontà di restituire un prodotto graficamente eccellente e di innalzare il livello della consultazione dei documenti.

 

Link interni

Tutte le pagine sono importanti, ma alcune sono più importante di altre. Attraverso i link interni si ha la possibilità di indirizzare gli utenti verso le pagine considerate centrali per il business aziendale. Agendo in questa maniera le persone atterreranno nei contenuti creati appositamente per far fare qualcosa al vostro pubblico.

Inserire dei link interni è cruciale anche per offrire l’opportunità di approfondire gli argomenti trattati a un livello più generale in un testo. Da un punto di vista editoriale ciò è funzionale per collegare i vari temi e per arricchire la qualità nella consultazione dei contenuti.

Seguire una logica ben definita nell’organizzazione dei collegamenti ipertestuali tra le pagine del sito consente di stabilire una gerarchia fra i contenuti dello stesso. Le risorse verso cui puntano un maggior numero di link interni saranno considerate più rilevanti dal motore di ricerca e potranno godere di un posizionamento migliore.

Nel linkare un’altra pagina ospitata nel medesimo dominio interviene anche la decisione strategica su quale porzione di testo far corrispondere al link interno. Le parole cliccabili per dirigersi verso una differente pagina interna al sito web vengono chiamate anchor text o testo di ancoraggio. Per rendere le anchor ottimizzate lato SEO serve inserire termini descrittivi e capaci di anticipare il contenuto che si andrà a visitare. Dalla semplice consultazione dell’anchor text l’utente, e perciò anche il motore di ricerca, deve intuire la pagina che consulterà.

Come già evidenziato in precedenza, i crawler dei motori di ricerca utilizzano i link per scoprire nuove risorse all’interno del sito. Una buona strutturazione dei collegamenti interni faciliterà il loro compito e velocizzerà il processo di indicizzazione dei contenuti.

 

Struttura tecnica del sito

Conferire al sito web una struttura tecnica ordinata porta con sé dei benefici sul posizionamento e sull’esperienza di navigazione, aumentando le probabilità che gli utenti facciano ritorno. Grazie a una disposizione coerente delle varie pagine i crawler dei motori di ricerca avranno vita facile nello scoprire i contenuti e, di conseguenza, nel farli apparire nelle SERP. Google predilige delle strutture facilmente comprensibili e intuitive e penalizza i domini che provocano confusione nella mente delle persone mentre navigano tra le pagine di un sito web.

Una struttura ben ragionata fa sì che gli utenti possano consultare i contenuti agevolmente, presentando le pagine più importanti a pochi clic dalla home page. Per esempio, se fossimo proprietari di un e-commerce, le nostre risorse essenziali sarebbero le schede prodotto. Come si potrà intuire, l’utente costretto a cliccare più di 3-4 volte per accedere alle pagine riferite ai prodotti, molto probabilmente si stancherà e abbandonerà la navigazione per trasferirsi in un sito concorrente. Con una struttura piatta, e senza ramificazioni superflue, gli utenti raggiungeranno nel minor tempo possibile i contenuti decisivi per il successo dell’azienda.

La quasi totalità dei siti web ottimizzati per i motori di ricerca adotta una struttura gerarchica o ad albero. Con quest’impostazione la home page è il punto di partenza e al di sotto si trovano le categorie. Scendendo a un livello ancora più profondo troveremo le sottocategorie e così via. Nell’alberatura descritta, e di cui si può osservare un esempio nell’immagine sottostante, ciò che crea un nesso congruente tra una sezione di livello gerarchico superiore e una di grado inferiore (e viceversa) è la presenza dei link interni. Inoltre, ogni volta che l’utente si muove dal basso verso l’alto di questo schema, il filo conduttore sarà rappresentato dalla vicinanza tematica e di significato.

Gli obiettivi di business che il progetto si prefigge influenzano la costruzione della struttura, così come la ricerca keyword è una fase fondamentale nella realizzazione della spina dorsale del sito, con il fine di ottimizzare le varie pagine per parole chiave pertinenti.

 

 

Menù di navigazione

È una buona prassi quella di riportare le sezioni di maggiore interesse all’interno del menù attraverso il quale le persone sono in grado di scegliere quale parte del sito visitare. Ogni dominio dovrebbe essere dotato di un menù se vuole venire incontro alle esigenze di navigazione degli utenti.

Anche in questo caso è la semplicità a farla da padrone: inserite solo le voci essenziali, tralasciando quelle che pensate non siano decisive per raggiungere gli obiettivi sperati. Dinanzi a un menù confusionario, anche il potenziale compratore più deciso ad acquistare potrebbe andarsene.

 

Consentire un’indicizzazione senza intoppi

Potremmo anche ottimizzare gli elementi On-Site nel migliore dei modi e avere contenuti utili e rilevanti, ma se le risorse web presenti nel dominio non vengono indicizzate, i risultati non potranno essere quelli desiderati. Per scongiurare questa circostanza il file robots.txt è ciò che fa per voi. Esso è visibile digitando /robots.txt alla fine del vostro dominio: ad esempio https://esempiodominio.it/robots.txt. Tale file serve a indicare a Google e agli altri motori di ricerca quali contenuti essi sono abilitati a scansionare e quali debbono essere mostrati in SERP.

In aggiunta al robots.txt esiste un altro elemento per semplificare il lavoro dei crawler: la sitemap. Si tratta di una vera e propria mappa contenente tutte le URL del sito web. Attraverso Google Search Console è possibile comunicarla al motore di ricerca cosicché la utilizzi per orientarsi durante la scansione.

SEO Copywriting: ottimizzare i contenuti testuali di un sito

Siamo quindi giunti al re tra i fattori di ranking, a ciò che fa realmente la differenza nel successo di un sito web: il contenuto. Senza contenuti, di natura testuale o audiovisiva o di qualunque altro genere, un progetto in rete non avrebbe senso di esistere.

Nell’ottimizzazione di un sito web e, più in particolare nella redazione di un articolo, i principi del SEO Copywriting possono agevolarvi. Ma cosa si intende con questo termine? Una scrittura SEO-oriented parla con le persone, con i lettori e i clienti. Durante la fase di scrittura di un testo in ottica SEO dovete sempre avere un unico scopo: redigere il migliore contenuto da offrire al vostro pubblico per risolvere un loro problema o per dare loro un valore tangibile, in relazione a uno specifico intento di ricerca.

Il SEO Copywriting è una materia in cui le competenze informatiche, necessarie per l’ottimizzazione tecnica, si fondono con l’osservazione, il ragionamento e la creatività nella stesura di testi coinvolgenti e, soprattutto, unici. La concorrenza nelle SERP è nella maggioranza dei casi molto alta e distinguersi dai competitor darà al vostro brand quel tocco di originalità necessario per non svanire nel grande calderone che è il Web. D’altra parte, dei testi troppo simili o addirittura copiati da altri siti web sono penalizzati dal motore di ricerca con effetti che possono riguardare l’intero dominio.

Scrivere un testo SEO-friendly non va visto come una restrizione per i copywriter, dato che l’obiettivo finale rimane pur sempre quello di soddisfare un desiderio dell’utente manifestato attraverso la digitazione di una query nella barra di ricerca. Se Google tende a premiare i siti web che propongono meta description accattivanti e informative, non lo fa per una sua regola prestabilita ma perché sono gli utenti a richiederlo. Perciò, adeguarsi alla SEO nella scrittura degli articoli non vuol dire altro che accontentare gli utenti.

Come si riesce a dare forma al miglior contenuto per il proprio target? Innanzitutto, occorre conoscere alla perfezione il pubblico di riferimento. I contenuti che producete sono rivolti a persone in carne e ossa e, dunque, studiare a fondo chi sono i vostri lettori e potenziali clienti è uno step fondamentale nell’attività di SEO Copywriting. Immaginando chi possa essere il vostro lettore ideale, sarete capaci di adeguare il contenuto alle caratteristiche dell’utente modello.

Attraverso la costruzione ideale del profilo socio-demografico di un possibile lettore si giunge alla creazione di una reader persona. Con tale espressione ci si riferisce all’identikit di un possibile lettore dei propri contenuti, una rappresentazione stereotipata dell’uomo o della donna appartenenti al target, che, però, si basa sui dati degli utenti. Se possedete da molti anni un’attività e vendete dei prodotti, avrete maggiori probabilità di individuare più precisamente quali sono i punti in comune di chi compra quei prodotti (età, sesso, professione e molto altro).

Nel 2021 chi si mette all’opera per scrivere un contenuto nel Web ottimizzato per i motori di ricerca ha l’obbligo di ragionare per intenti di ricerca e non per singole parole chiave. Che cosa intendiamo quando parliamo di intenti di ricerca (in inglese search intent)? Ipotizziamo di dover redigere un testo ottimizzato per la chiave [automobili fiat]. Dalla ricerca keyword, quasi sicuramente, emergerà come parola chiave anche [macchine fiat]. Ebbene, consultando le due SERP si può immediatamente notare che chi cerca “automobili fiat” ha lo stesso intento di chi digita “macchine fiat” (in questo caso probabilmente l’intento è l’acquisto delle vetture a marchio FIAT). Dunque, non è corretto, e anzi potrebbe essere oggetto di penalizzazione per spam, tentare di ottimizzare l’articolo per queste due parole chiave come rispondessero a intenti differenti.

Allo stesso modo, ripetere continuamente la parola chiave principale potrebbe condurre a una penalizzazione del testo, in aggiunta al fatto che il contenuto risulterà praticamente illeggibile. Sono ormai lontani i tempi in cui gli articoli erano stracolmi di tutte le varianti possibili delle keyword per cui si voleva presenziare le pagine dei risultati.

 

SEO Off-Site

Una strategia SEO ben fatta non può prescindere dalle tecniche finalizzate a ricevere menzioni e citazioni in siti esterni al proprio. Al contrario della SEO On-Site, in questa materia ci si concentra sulle risorse che si trovano nei domini di altri soggetti.

L’essenza della SEO Off-Site è la continua ricerca e gestione dei link che puntano al proprio sito web, denominati backlink o link in ingresso. Come si vedrà a breve, non è il numero dei link in entrata a fare la differenza, bensì sono la qualità e la coerenza a determinare se un profilo backlink è naturale e, perciò, ottimizzato.

Page Rank

Fin dalle origini del Web i collegamenti ipertestuali hanno rappresentato il motore pulsante della navigazione. Tale assunto non è passato inosservato a Larry Page e Sergey Brin, i padri fondatori di Google. Mentre i due studenti di Stanford erano all’opera per creare il motore di ricerca che avrebbe rivoluzionato il mondo, decisero che un algoritmo avrebbe differenziato Big G dalla concorrenza: il Page Rank.

L’algoritmo, che riprendeva e giocava sul cognome di Larry, avrebbe dovuto avere il compito di misurare l’importanza che ogni pagina presente negli indici di Google possedeva. Per calcolare questa importanza lo strumento impiegato non poteva che essere il link. Ogni link veniva considerato come un voto che una pagina indirizzava a un altro contenuto tramite il collegamento ipertestuale. La doverosa precisazione da fare sui backlink è che non tutti sono uguali. Quelli che provengono da siti autorevoli avevano e hanno un valore maggiore rispetto a quelli di scarsa qualità oppure da quelli provenienti da siti neonati, i quali non hanno avuto il tempo necessario ad acquisire prestigio agli occhi di Google e degli utenti.

Inizialmente il Page Rank, di cui ogni pagina godeva, veniva mostrato attraverso una barretta verde che ne indicava l’importo. In seguito, Google decise di eliminare questa indicazione, ma ciò non vuol dire che esso non prenda più in considerazione tale metrica, anzi. Se il primo fattore di ranking è il contenuto, indubbiamente, al secondo posto troviamo il profilo backlink. I siti che possiedono un Page Rank alto avranno maggiori probabilità di conseguire un posizionamento soddisfacente e di beneficiare di una buona dose di visibilità.

Tuttavia, a un Page Rank elevato non corrisponde automaticamente un buon andamento del sito web. Il Page Rank non va interpretato come un dato isolato, ma va incrociato con altre metriche per avere una panoramica corretta ed esplicativa dell’evoluzione del sito web. Evidentemente, se il valore attribuito da Google a una pagina web è elevato ma le conversioni sono minori di quanto ci si aspettava, ci saranno sicuramente altri fattori che incidono negativamente sul business generale.

 

Link earning vs link building

Chi si occupa di SEO Off-Site o Off-Page punta a rendere il proprio brand autorevole, sia nel Web che offline, per le persone e per i motori di ricerca. Per quel che riguarda l’ottenimento di link da altri domini, le strade percorribili sono principalmente due: la link earning e la link building. Essi differiscono per la loro indole e per i vantaggi e svantaggi che portano con sé.

Nella link earning la parola d’ordine è merito. La citazione da parte di un sito web esterno dovrebbe essere meritata e naturale. Chi ci cita lo fa solo perché trova, ad esempio, il nostro articolo di qualità e utile ad arricchire la propria risorsa. Offrendo al pubblico di riferimento dei contenuti in grado di dare loro un reale valore aggiunto, le probabilità di essere menzionati aumentano esponenzialmente.

Sebbene questa tecnica sia la più redditizia quando si parla di guadagnare link, gli sforzi connessi ad essa sono rilevanti e non sempre sostenibili. Come affermato, al fine di ottenere backlink è necessario creare dei contenuti testuali o visuali (ad esempio infografiche oppure video) di un valore unico e ciò richiede investimenti notevoli, in termini di tempo e di lavoro da svolgere. Inoltre, prima che il vostro contenuto inizi a essere menzionato occorre tempo affinché gli altri lo scoprano. Perciò, i risultati di una campagna di link earning saranno visibili nel lungo periodo.

L’impegno collegato alla link earning è uno dei principali fattori che fa virare molti esperti SEO verso la link building. Inserire link all’interno di testi o in altre tipologie di contenuti facendoli pubblicare in siti web terzi tramite un pagamento monetario o un beneficio offerto a colui che ospita il collegamento ipertestuale. Ecco cosa si intende per link building.
Avvalendosi della costruzione artificiale dei link, la notorietà e il posizionamento del sito web potrebbero salire con maggiore velocità, ma anche i rischi crescono. Google vieta esplicitamente la link building nelle sue linee guida ed è continuamente al lavoro, attraverso i suoi raffinati algoritmi e grazie all’apporto dei quality raters, per scovare coloro che usufruiscono e abusano di questa tecnica. La link building richiede logica se non si vuole incorrere in penalizzazioni inflitte dal motore di ricerca. Uno degli aspetti a cui dovete prestare attenzione se state portando avanti un’attività di link building è l’utilizzo delle anchor text. Immaginate di avere una pagina ottimizzata per la chiave [bracciali da donna]. Il motore di ricerca si insospettirà velocemente se tutti i link che puntano a quel contenuto riportano come ancora la parola chiave “bracciali da donna”.

 

Affidarsi al lato oscuro della SEO? Decisamente no!

Fin dagli albori della SEO, alcuni specialisti in materia hanno cercato, con tutti gli stratagemmi possibili e immaginabili, di ingannare l’algoritmo di Google e guadagnare così posizioni nelle SERP. Negli anni passati le tecniche denominate Black Hat, ossia quelle che il motore di ricerca consiglia di evitare laddove si voglia stare alla larga di penalizzazioni, funzionavano ancora in larga parte. Costruire centinaia di link in ingresso al proprio sito con anchor text manipolative (cioè che riportavano la parola chiave esatta per cui la pagina a cui indirizzava il link era stata ottimizzata) era una pratica che dava i suoi frutti.

Oggi la situazione è ben diversa. L’unico modo per guadagnare posizioni nelle pagine dei risultati è fare affidamento sulle pratiche White Hat e sviluppare un sito web capace di rispondere adeguatamente alle esigenze degli utenti senza far ricorso a trucchetti di qualunque genere. In base a questo approccio, l’ottimizzazione SEO dovrebbe avvenire in maniera naturale, con il solo scopo di risolvere un problema oppure offrire qualcosa di rilevante agli utenti.

Cimentarsi nel lato oscuro della SEO potrebbe darvi benefici nell’immediato, ma sicuramente nel lungo periodo vedrete il vostro sito web penalizzato e declassato nelle differenti SERP. La SEO, quella fatta bene, opera in un arco di tempo più esteso e i risultati conseguiti tramite le tecniche White Hat saranno duraturi.

Provando a stilare un elenco di alcune delle azioni che rientrano nella categoria Black Hat della SEO e che Google tenta di combattere schedandole come puro spam, troviamo:

 

  • il cloaking. Consiste nel mostrare contenuti diversi agli utenti rispetto a ciò che viene scansionato dagli spider dei motori di ricerca.
  • i commenti spam nei forum o nei blog. Ci riferiamo alla pratica di commentare in questi spazi online allo scopo unico di promuovere la propria attività senza arricchire la discussione e fornire spunti interessanti.
  • la keyword stuffing. Tale pratica, quasi completamente in disuso, è già stata trattata precedentemente e si configura nell’inserire il più alto numero possibile di parole chiave in un testo nella speranza che ciò porti a un migliore posizionamento.
  • l’inserimento di contenuti duplicati. Solitamente, chi gestisce un sito web non ha alcun interesse a pubblicare in esso contenuti identici tra loro, ma può accadere che, a causa di sviste, ciò accada. Google interpreta questa operazione come volta a ingannare il motore di ricerca.
  • la link building compulsiva. Ricevere giornalmente centinaia di link, tutti alla stessa ora, dalla stessa tipologia di sito e con ancore manipolative viene ritenuta una pratica Black Hat.

 

Cronologia dei principali aggiornamenti dell’algoritmo di Google

Dopo aver letto come avviene operativamente l’ottimizzazione di un sito web, è utile capire in che direzione si sono mossi gli aggiornamenti all’algoritmo del motore di ricerca per avere un quadro generale di qual è lo scopo di Google.

I vari perfezionamenti dell’algoritmo avvenuti nel tempo sono stati accomunati da un unico desiderio: proporre i migliori siti web per rispondere alle esigenze degli utenti espresse tramite le query digitate nella barra di ricerca. D’altronde questa è la vera missione di Google. Offrire nelle prime posizioni i siti web autorevoli e affidabili, capaci di risolvere dubbi e problemi degli utenti non è un compito facile per il colosso statunitense. Raggiungere questo obiettivo significa dare minore visibilità ai siti spam e di bassa qualità e capire gli intenti di ricerca connessi alle query per far visualizzare ai navigatori SERP pertinenti.

Dopo alcuni aggiustamenti dell’algoritmo di minore importanza, il primo rilevante aggiornamento è arrivato nel 2009 con Google Caffeine. L’aggiornamento andava a modificare l’infrastruttura del motore di ricerca e accelerava il processo di indicizzazione. Prima di Caffeine, Google non distingueva addirittura tra un video e un articolo di testo. In seguito all’update, il motore di ricerca cominciò a mostrare risultati più pertinenti usufruendo di un’indicizzazione ottimizzata e prediligendo le notizie fresche.

Due anni dopo Panda penalizzò i siti ritenuti di bassa qualità e con contenuti copiati da altre risorse web. In particolare, vennero colpiti i domini che presentavano contenuti duplicati uniti a spazi pubblicitari del circuito AdSense con il solo fine di guadagnare soldi.

Contestualmente a Panda, un ulteriore aggiornamento venne rilasciato nel 2012: Google Penguin. Al centro di questo tentativo di miglioramento dell’algoritmo furono posti i siti web che si avvalevano di link innaturali per scalare le SERP.

L’aggiornamento forse più importante nella storia dell’algoritmo di Google è Hummingbird (dall’inglese colibrì. Sì, più che di SEO sembra si stia parlando di uno zoo) avvenuto nel 2013. Da quel momento in poi il motore di ricerca fu in grado di comprendere in modo sempre più preciso le intenzioni degli utenti che sono dietro alle query, attraverso delle associazioni semantiche che Google immagazzina ogni volta che una persona effettua una ricerca. Facendo un esempio, Google comprese che in corrispondenza della query mangiare gelato a roma, l’utente aveva bisogno di sapere dove poter degustare un gelato nella Capitale e non di una pagina che illustrava la storia delle gelaterie a Roma.

Nel 2015 RankBrain introdusse l’intelligenza artificiale per interpretare ancora più correttamente le query e fu preludio all’emergere dell’ottimizzazione per il mobile.

Arrivando quasi ai giorni nostri, il Google Core Update datato 2018 intervenne per valutare le pagine definite “Your Money, Your Life”, ossia quelle che hanno effetti tangibili sulla vita delle persone come i siti che si occupano di finanza e salute. Esso venne ribattezzato Medical Update in quanto colpì molti siti web che avevano come tema principale il settore medico e mostravano contenuti non all’altezza dell’importanza dell’argomento.

Per finire questa carrellata di aggiornamenti, Google Bert rilasciato nel 2019 si prefigge di migliorare la comprensione delle query leggendo queste ultime da sinistra a destra e viceversa.

Troppo spesso gli aggiornamenti di Google vengono visti dagli esperti SEO come un evento catastrofico e da cui non si sa cosa aspettarsi. C’è solo un modo per rimanere tranquilli di fronte a questi update: cercare di offrire i migliori contenuti possibili al proprio target di riferimento. Solo in questo modo non avrete alcun timore. Se un eventuale aggiornamento declassa il vostro sito per le keyword che avete scelto nell’ottimizzazione, significa che i vostri contenuti non sono all’altezza e dovrete impegnarvi di più per renderli i più apprezzati nel vostro settore.

 

Mobile SEO

Quanti di voi stanno leggendo questo articolo tramite smartphone? Ormai non è una novità il fatto che la maggioranza degli utenti consultino i siti web da mobile. Seduti su un bus o in fila alle poste, interroghiamo Google per ricevere risposte utilizzando comodamente il nostro cellulare.

Alla luce di ciò, nella progettazione e nello sviluppo di un sito web, il mobile dovrà ricoprire un ruolo centrale. Google ufficializzò il suo crescente interesse per le versioni mobile dei domini, nell’ottica del posizionamento di essi, attraverso un comunicato che introdusse nel 2018 il mobile-first indexing. Il motore di ricerca dichiarò che, da quel momento in poi, ad essere scansionata per prima sarebbe stata la versione mobile di un sito web e non quella desktop. La nota di Google provvedeva solo a rendere ufficiale ciò, ma gli esperti SEO erano già consapevoli di come i domini dovessero essere ottimizzati per il mobile.

L’evidente differenza che intercorre tra le due varianti di un sito web, ovvero quella desktop e quella mobile, è la dimensione dello schermo grazie al quale si consultano i contenuti. Ciò si traduce in un adattamento degli elementi presenti nelle diverse pagine alla grandezza dei dispositivi mobile. Solo in questo modo gli utenti potranno fruire correttamente dei contenuti in qualunque device essi vogliano.

Un sito web che impiega diversi secondi per caricare le proprie pagine viene abbandonato con molta facilità dagli utenti. Tale situazione è ancora più accentuata nella navigazione da mobile, dai tempi ancora più ridotti e caratterizzata dalla volontà di trovare subito ciò che si sta cercando. Pertanto, rendere un sito mobile-friendly significa anche velocizzare i tempi di caricamento delle pagine per offrire un’esperienza di navigazione soddisfacente.

Google offre uno strumento per testare l’ottimizzazione mobile del proprio sito web ed, eventualmente, apportare le giuste modifiche.

 

Local SEO

Non tutte le attività offrono i propri prodotti e servizi in delle estensioni ampie di territorio. Alcune imprese operano in zone ristrette. Per questi progetti la local SEO potrebbe rivelarsi un prezioso alleato e fornire il giusto livello di visibilità nella propria area di competenza.

Una trattoria a Bologna non avrà alcun interesse nel posizionarsi per parole chiave che non comprendono l’indicazione della zona (in questo caso Bologna) in cui la trattoria si trova. All’opposto, ottenere un buon ranking per chiavi come [trattorie bologna] oppure [dove mangiare a bologna trattorie] potrà aiutare l’attività a raggiungere il proprio target di riferimento. Nonostante le keyword che abbiamo preso ad esempio siano caratterizzate da bassi volumi di ricerca, esse saranno perfettamente coerenti con il pubblico che si intende intercettare e le possibilità di convertire con queste parole chiave sono decisamente alte.

L’aspetto più importante sul quale le attività che ottimizzano la SEO in ottica locale devono concentrarsi è, indubbiamente, Google My Business. Tale servizio, messo a disposizione direttamente dal motore di ricerca, permette di costruirsi la propria scheda che apparirà nelle SERP di Google includendo le principali informazioni inerenti l’attività. Google My Business (spesso abbreviato in GMB) rappresenta un’opportunità per aumentare la visibilità del brand online, grazie al fatto che le relative schede compaiono in Google Maps quando l’utente effettua una ricerca e grazie alla possibilità affidata alle persone di lasciare delle recensioni. Oltre a ciò, le condivisioni di post e le eventuali risposte ai dubbi espressi dagli utenti sempre all’interno della scheda GMB sono delle ottime pratiche per migliorare l’engagement con il proprio pubblico.

Entrando nel dettaglio di Google My Business, le informazioni fondamentali da includere nello spazio riservato sono:

  • il nome dell’attività.
  • l’indirizzo della sede principale.
  • il numero di telefono.
  • gli orari di apertura e chiusura.
  • la categoria di cui fanno parte i prodotti o i servizi offerti.

Potete sfruttare la scheda Google My Business anche pubblicando dei post in grado, per esempio, di comunicare delle particolari offerte o degli eventi da voi organizzati. Un ulteriore spazio attraverso il quale parlare al proprio target contribuirà a far emergere o a migliorare le relazioni con le persone appartenenti al pubblico di riferimento.

 

Seo per e-commerce

Le tipologie di siti che hanno come obiettivo primario quello di promuovere i prodotti dell’azienda, ossia gli e-commerce, richiedono un’attività SEO pianificata e capace di rivolgersi al giusto target. Sebbene l’ottimizzazione non si discosti di molto da quella effettuata per gli altri tipi di siti web, nella SEO per gli e-commerce altri fattori intervengono a determinare il successo della strategia.

Negli e-commerce l’abilità nella scrittura può fare la differenza. In primis, una scheda che descrive adeguatamente il prodotto e che riesce a contenere le giuste parole chiave abbinerà una buona esperienza di navigazione degli utenti a un soddisfacente posizionamento. Un testo accattivante, organizzato in maniera lineare e coerente grazie all’uso dei marcatori Hx e che riporta le giuste keyword per cui si vuole posizionare la pagina-prodotto, innalzerà le probabilità di ottenere delle conversioni.

La struttura dei link interni è un altro elemento sul quale concentrare i propri sforzi se si vuole ottimizzare il proprio e-commerce per la SEO. Saper collegare i prodotti, ordinandoli in categorie e sottocategorie, creerà un percorso di navigazione facilmente percorribile da utenti e motori di ricerca, con ripercussioni positive sul ranking.

Corredare il testo di immagini dei prodotti chiare e di alta qualità è un segnale dell’impegno dell’azienda nel fornire una rappresentazione visiva di ciò che viene offerto ai potenziali clienti.

Piuttosto utili per l’ottimizzazione SEO degli e-commerce, ma più in generale per ogni tipologia di dominio, sono i dati strutturati. Si tratta di meta-informazioni che i motori di ricerca leggono per assimilare il contenuto e afferrare meglio il tema generale di una determinata risorsa web. Implementare i dati strutturati aumenta le probabilità di far comparire i rich snippet nelle SERP di Google, ossia dei risultati arricchiti con maggiori informazioni, i quali tendono a far alzare il CTR. In un negozio online potreste cercare di far mostrare al motore di ricerca il prezzo di un certo prodotto o quanto esso è apprezzato (solitamente, ciò viene esibito con delle stelline come nell’esempio sottostante).

seo per ecommerce

 

Ulteriori attività SEO

Una campagna SEO non è a esclusivo appannaggio di Google e degli altri motori di ricerca. Infatti, le tecniche di ottimizzazione possono essere estese, ad esempio, a YouTube. In questo caso l’obiettivo sarà quello di far vedere il proprio video al maggior numero possibile di persone facenti parte del pubblico-target.

Negli ultimi anni stanno prendendo sempre più piede le campagne indirizzate a promuovere la visibilità delle mobile app all’interno degli appositi store. Le strategie adottate mirano a incrementare il numero di download delle applicazioni e a collezionare delle recensioni e valutazioni positive capaci di attribuire al brand una percezione positiva.

 

Misurare i risultati di una campagna SEO

Ultimate tutte le azioni di SEO On-Site e Off-Site, una fase decisiva, ma che troppo spesso viene trascurata, è quella della misurazione dei risultati. Ovviamente, è essenziale che prima di partire con l’attività di ottimizzazione per i motori di ricerca vengano fissati degli obiettivi da poter misurare. Se non vengono stabiliti dei traguardi da raggiungere, non si potrà sapere se la campagna ha avuto un esito positivo o meno. Perciò, non si prenderà coscienza di dove si è sbagliato e di come poter ricalibrare l’attività nel futuro.

Tra le metriche fondamentali per analizzare le performance SEO rientra l’indicazione sul canale maggiormente utilizzato dagli utenti per giungere sul sito web. Alla costruzione di un sito web SEO-friendly dovrebbe corrispondere un innalzamento del traffico proveniente dalla ricerca organica, ovvero dalla digitazione di query nella barra di ricerca. Controllare questa metrica è possibile grazie a Google Analytics in Acquisizione > Tutto il Traffico > Canali.

Trovandosi a gestire un e-commerce un dato che deve essere assolutamente preso in considerazione è quello delle vendite. Sempre in Google Analytics esso, insieme ad altre informazioni, è visibile in seguito all’attivazione del monitoraggio e-commerce. Osservando solo il numero delle vendite, però, non si riesce ad avere un quadro completo di come il negozio online stia performando. Infatti, l’approfondimento di quali categorie e di quali specifici prodotti sono più apprezzati dal pubblico consentono di prendere delle decisioni strategiche per il business aziendale.

Per monitorare il rendimento delle parole chiave per le quali si è ottimizzato il sito web Google Search Console viene in vostro aiuto. Lo strumento, totalmente gratuito, offre una panoramica di come si comportano le keyword selezionate per l’ottimizzazione, oltre a riportare eventuali errori collegati al sito web.

 

Libri sulla SEO

Sono molte le pubblicazioni su questa materia. La vera bibbia della SEO, sia per i principianti che si stanno approcciando a questo argomento sia per gli esperti in cerca di interessanti spunti di riflessione, è certamente The Art of SEO. Originariamente presente solo in lingua inglese, è stato recentemente tradotto da Jacopo Matteuzzi e Flavio Mazzanti di Studio Samo. Il libro copre tutte le tematiche che circondano la SEO ed è ricco di esempi concreti su come pianificare un’attività di ottimizzazione.

Potremmo citare centinaia di testi validi sull’argomento. Tuttavia, crediamo sia il caso di segnalare un testo, non direttamente collegato alla SEO, ma davvero utile per misurare quanto è stato fatto nel corso della campagna: Web Analytics 2.0. Ricollegandoci al paragrafo precedente e, cioè, all’importanza di valutare i risultati di un’attività SEO, il libro guida i lettori alla scoperta delle metriche fondamentali per esaminare l’andamento di un sito web.

 

Corsi sulla SEO

Per chi preferisce guardarsi comodamente a casa delle video lezioni, il corso SEO del 2020 di Giorgio Taverniti è un’ottima risorsa per coloro che sono alle prime armi con la materia. Ancora prima di imparare a inserire tag title e meta description nelle varie pagine, è fondamentale sviluppare un pensiero strategico e flessibile, da adattare ai differenti progetti soggetti a ottimizzazione. Il corso insegna ad adottare un metodo quando si elabora una strategia SEO per un sito web

 

Cosa significa fare SEO nel 2021

Il marketing è fatto di emozioni, esperienze che rimangono impresse nella mente dei clienti e degli utenti. Lo stesso si può dire per la SEO, quella fatta bene e rivolta al futuro.

Oggigiorno, ottimizzare un sito web per i motori di ricerca è sinonimo di offrire delle sensazioni piacevoli alla persona che sta navigando il nostro dominio. In altre parole, il compito di chi si occupa di SEO è migliorare al massimo la User Experience (UX), cioè l’insieme delle percezioni emotive che scaturiscono dalla consultazione dei contenuti di un sito. Ottimizzare la UX vuol dire mettere al centro della propria attività le persone, facendole sentire immerse in un ambiente soddisfacente a più livelli.

Operativamente parlando, l’esperienza di navigazione degli utenti non riguarda unicamente l’aspetto grafico del sito web, anche se esso riveste un ruolo centrale. Delle pagine che caricano lentamente, ad esempio, impattano negativamente la User Experience e fanno emergere delle sensazioni negative negli utenti che tenderanno inconsciamente a estendere queste all’intero brand.

La permanenza dell’utente nel sito web va curata in maniera olistica. Dunque, anche l’interazione con la pagina che l’utente si trova a visitare va ottimizzata, sempre nell’ottica di offrire un contenuto piacevole da consultare. Occupandoci di interazione tra l’uomo e i diversi documenti web presenti in un sito, ci riferiamo a ciò che è stata definita User Interface (UI). Ogni volta che una persona interagisce con un sito web, per esempio attraverso la compilazione di un contact form, essa si aspetta che il processo vada a buon fine e non si presentino intoppi.

Nel costruire un sito user-friendly ogni elemento che lo compone deve essere di gradimento per gli utenti e utile a soddisfare una certa loro esigenza. Tale impegno nel presentare un sito web performante e piacevole da essere navigato, comporta anche il monitoraggio di esso. Assicurarsi che tutto nel dominio web funzioni a dovere è un fattore che porterà la SEO a un livello superiore, ancora più di inserire le parole chiave strategiche nei differenti contenuti del sito.

Sottovalutare la centralità della User Experience per la buona riuscita di una strategia SEO e, più in generale, per il raggiungimento degli obiettivi che il sito web si prefigge, può ampiamente limitare il successo di un progetto online. Pensate, per esempio, se nel vostro sito web alcuni bottoni per aggiungere i prodotti al carrello non funzionino. Potreste avere condotto un’attività SEO nel migliore dei modi, ma, evidentemente, il vero scopo dell’ottimizzazione per i motori di ricerca, ossia guadagnare delle conversioni, risentirà negativamente di queste imperfezioni.

In conclusione, la SEO del 2021 è sempre più orientata alla User Experience e al garantire agli utenti dei momenti gradevoli nella navigazione.

 

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